Il mobbing costituisce una forma specifica di molestia psicologica. Non è tuttavia regolamentato in modo particolare, ma costituisce comunque una violazione dell’art. 328 CO (mancato rispetto della personalità del lavoratore).
La legge non definisce il mobbing; i relativi aspetti sono stati definiti dal Tribunale federale (TF 2P.207/2007), nei seguenti termini:
«L’insieme di propositi e di interventi ostili, ripetuti per un periodo abbastanza lungo, attraverso i quali una o più persone cercano di isolare, marginalizzare o escludere una persona sul luogo di lavoro»
Il fatto che il comportamento da recriminare rientri o meno nella suddetta
definizione del mobbing non è determinante. Infatti, il datore di lavoro contravviene al suo obbligo, ogniqualvolta si verifica una violazione dei diritti dei collaboratori. Ma riconoscere gli elementi costitutivi del mobbing consente di dedurre la gravità del fatto.
Secondo la definizione fornita dalla giurisprudenza, per essere vittima di mobbing, occorre costituire «bersaglio particolare» (cible particulière). Ma questo sembra essere discutibile, infatti più persone potrebbero essere vittime di mobbing, contemporaneamente, all’interno della stessa azienda.
Se la violazione è riconosciuta, la vittima può chiedere il risarcimento, vale a dire un
compenso finanziario finalizzato a coprire le spese sostenute (esborsi per la salute non coperti dalla cassa malattia) e il mancato guadagno (perdita di salario).
La vittima, inoltre, può chiedere il ristoro del danno morale, per le sofferenze subite (art. 49 CO). In Svizzera, tali «indennità » sono concesse con molta parsimonia e solo quando la violazione superi una certa soglia di «sopportabilità».