FAQ

Pause per l’allattamento

Le domande sulle pause per l’allattamento vengono trattate dal servizio giuridico della Promozione allattamento al seno Svizzera. Sono riportate qui con il loro gentile permesso.

Congedo maternità / indennità di maternità

Il lavoro notturno durante e dopo la gravidanza

Assenza durante la gravidanza e obbligo di versare il salario da parte del datore di lavoro

Riduzione delle vacanze a causa di assenze

Basi giuridiche del contratto di lavoro


Part-time, salario a ore e pause per l’allattamento

Ho diritto a delle pause per l’allattamento in caso di lavoro part-time? Con salario a ore?

Sì, in ogni caso. Le pause vengono considerate per calcolare l’orario di lavoro giornaliero. Una percentuale di lavoro part-time non influisce sulle pause concesse. Il tipo di retribuzione non e rilevante.

Lavoro a tempo parziale e a volte lavoro al di fuori del mio normale orario di lavoro e questo si traduce in ore di lavoro supplementare. Ho anche diritto a pause pagate per l’allattamento al seno?

Si, ma esiste un prerequisito : le donne incinte e che allattano possono lavorare solo con il loro consenso. Se una donna che allatta accetta di lavorare in un giorno supplementare, naturalmente avrà diritto al tempo per l’allattamento anche in quella giornata.

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Tempistiche delle pause per l’allattamento nella giornata lavorativa

È possibile anticipare o posticipare le pause per l’allattamento all’inizio rispettivamente al termine dell’orario di lavoro e perciò cominciare più tardi e/o finire prima il lavoro?

Il legislatore stabilisce che l’allattamento si svolge durante l’orario di lavoro regolare. Il datore di lavoro deve concedere il tempo necessario per l’allattamento alla madre che allatta durante l’orario di lavoro e che necessita effettivamente anche di questo tempo. Se l’allattamento avviene al di fuori dell’orario di lavoro non viene computato come tempo di lavoro retribuito. L’allattamento prima o dopo l’orario di lavoro comporta effettivamente una riduzione della durata di lavoro e necessita di essere concordato con il datore di lavoro.

Occorre considerare che la protezione dal licenziamento si protrae solo fino a 16 settimane dopo il parto. Se il datore di lavoro disdice il contratto di lavoro dopo queste 16 settimane, la disdetta è abusiva qualora si possa provare che la dipendente è stata licenziata a causa dell’allattamento. Un licenziamento di questo tipo è comunque valido, tuttavia, il datore di lavoro può essere tenuto a versare un’indennità.
(Vedi Art. 336c cpv. 1 lett. c Codice delle obbligazioni, CO)

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Accumulo di pause per l’allattamento

Posso cumulare le pause retribuite per l’allattamento al seno e prenderle interamente una volta a settimana ?

No. Il datore di lavoro concede come tempo di lavoro retribuito unicamente il tempo effettivo necessario per allattare. Il tempo per l’allattamento non è cumulabile.

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Pause per l’allattamento anche per il padre ?

Uso il tiralatte, il padre potrebbe dare il latte sul posto di lavoro, ha diritto al tempo per l’allattamento?

No. Il datore di lavoro concede il tempo per l’allattamento unicamente alle madri allattanti.

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Tiraggio del latte materno et pause per l’allattamento

Uso il tiralatte sul mio posto di lavoro. Ho diritto a pause retribuite per l’allattamento al seno?

Sì. Il tiraggio del latte è giuridicamente parificato all’allattamento.

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Durata del diritto all’allattamento al seno e delle pause per l’allattamento

Voglio allattare mio figlio il più a lungo possibile, ma il mio datore di lavoro mi ha detto che le mie pause per l’allattamento non verranno pagate dopo sei mesi. Dovrei smettere di allattare?

No, non necessariamente. Durante il primo anno di vita del bambino le pause concesse vengono computate come tempo di lavoro retribuito. Trascorso questo termine (12 mesi), il datore di lavoro è sì tenuto a concedere alle madri tempo per l’allattamento, ma questo non sarà più considerato come tempo di lavoro retribuito.

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Organizzazione del lavoro durante le pause per l’allattamento

Devo trovare un sostituto per compiti urgenti quando faccio una pausa per allattare ?

No, è il datore di lavoro a dover garantire il funzionamento continuo dell’azienda. Tuttavia, puoi contribuire al buon funzionamento dell’azienda proponendo al tuo datore di lavoro un collega che ti sostituirà, previo accordo da parte sua.

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Posto e stanza per l’allattamento

Lavoro da casa (home office). Ho anche diritto a pause per l’allattamento al seno?

Si può uscire dall’azienda per allattare?

Sì. L’azienda concede il tempo necessario per l’allattamento ma è la madre a scegliere il luogo dove allattare.

Non c’è uno stanza dedicata sul mio posto di lavoro dove posso tirare il latte e devo farlo in bagno. È normale?

Secondo l’art. 34 OLL 3, alle madri che allattano deve essere offerta la possibilità di stendersi e riposarsi in condizioni adeguate. Anche su una comoda brandina situata in una stanza separata dotata di condizioni climatiche consone (ad es. stanza di pronto soccorso).

Le questioni relative all’allattamento al seno sul luogo di lavoro dovrebbero essere discusse in dettaglio con il datore di lavoro durante la gravidanza o prima di tornare al lavoro, ad esempio verso la fine del congedo maternità. Usando l’agenda digitale online gratuita www.mamagenda.ch, da sola o con il tuo datore di lavoro, sei sicuro di non dimenticare questioni importanti, che faciliteranno il tuo ritorno al lavoro e la continuazione dell’allattamento.

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Durata delle pause per l’allattamento al seno

Per quanto tempo posso allattare al lavoro ?

Nel primo anno di vita del bambino il tempo di lavoro retribuito per l’allattamento viene computato come segue:

con un tempo di lavoro quotidiano fino a 4 ore almeno 30 minuti

con un tempo di lavoro quotidiano superiore a 4 ore almeno 60 minuti

con un tempo di lavoro quotidiano superiore a 7 ore almeno 90 minuti

Il datore di lavoro concede come tempo di lavoro retribuito unicamente il tempo effettivo necessario per allattare.

A una donna viene riconosciuto come tempo di lavoro retribuito anche il tempo effettivo necessario per allattare nel caso in cui l’ufficio non disponga di locali adeguati all’allattamento ed essa sia quindi costretta ad andare a casa ?

Se tuttavia in ufficio non esistono locali adeguati per l’allattamento e la madre è costretta ad andare a casa, può farsi computare l’intero tempo spettante per l’allattamento come tempo di lavoro retribuito (ad es. 30 minuti con un tempo di lavoro quotidiano inferiore a 4 ore, anche nel caso in cui il tempo di allattamento effettivo sia inferiore a questi 30 minuti).

Le pause per l’allattamento possono anche prolungarsi ?

Sì. Questa disposizione riguarda unicamente la durata minima che viene conteggiata come tempo di lavoro. Qualora la madre necessiti di più tempo per allattare rispetto a quello a disposizione, in assenza di accordi diversi con il datore di lavoro, questo tempo supplementare non viene però computato come tempo di lavoro retribuito.

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Fine del diritto all’indennità di maternità e ripresa del lavoro

“Prima del parto, lavoravo come segretaria all’80%; inoltre, ero impiegata in una casa 10 ore al mese, per le quali ero retribuita all’ora. Solo il mio salario di segretaria è stato però preso in considerazione dalla cassa di compensazione responsabile di calcolare l’ammontare della mia indennità di maternità. Attualmente sono alla nona settimana di congedo maternità. alfine di poter aumentare le mie indennità giornaliere, posso fare qualche ora di lavoro domestico? E se sì, continuerò ad aver diritto all’indennità di maternità?”

Di principio, secondo l’art. 35 a cpv 3 della Legge sul lavoro, ha il diritto di riprendere la sua attività lucrativa a partire dalla nona settimana dopo il parto (dopo quindi cioè il divieto di lavorare che vale invece per le prime 8 settimane).

In questo caso, il suo diritto all’indennità di maternità si estingue prima delle 14 settimane (o 98 giorni). Il diritto alle indennità di maternità si estingue per qualunque ripresa anticipata dell’attività remunerata, e questo indipendentemente dal tasso di occupazione e della durata del contratto (art. 16d LAPG, art. 25 RAPG). Questa soluzione legislativa ha lo scopo di incoraggiare le madri ad usufruire dell’intero congedo di maternità.

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Disoccupazione e diritto all’indennità di maternità

“Sono in disoccupazione e ricevo le indennità dell’assicurazione disoccupazione AD. Posso comunque beneficiare di un congedo maternità e se si, a quanto ammontano le indennità?”

Si. Secondo il regolamento per le indennità per perdita di guadagno (art. 29 RIPG), ha il diritto ad un congedo maternità pagato di 14 settimane, sia che abbia ricevuto delle indennità dall’assicurazione disoccupazione fino alla nascita del suo bambino sia se, al momento del parto, ha soddisfatto la condizione di un periodo di contribuzione necessario. Il vostro salario continua ad esser versato e corrisponde almeno a quanto riceveva come indennità giornaliera di disoccupazione fino a quel momento.

Durante il congedo maternità e il pagamento delle indennità di maternità secondo la LIPG, il pagamento delle indennità di disoccupazione è sospeso.

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Disdetta del rapporto di lavoro e diritto all’indennità di maternità

“Durante la gravidanza, ho rassegnato le dimissioni dalla ditta Z. Il periodo di disdetta è di 3 mesi e il termine della gravidanza è previsto tra un mese. Ho diritto all’indennità di maternità anche se ho disdetto il mio rapporto di lavoro?”

Sì! Una delle condizioni per beneficiare dell’indennità di maternità è che al momento della nascita, sia ancora impiegata (art. 16b, cpv 1, lettera C, cifra 1 LIPG). Il rapporto di lavoro deve essere durato almeno fino alla data del parto. Il fatto di aver dato le dimissioni o essere durante il periodo di disdetta al momento del parto non è tenuto in considerazione, così come la vostra decisione di riprendere o meno il lavoro dopo la nascita non ha nessuna influenza sul diritto di beneficiare del congedo maternità.

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Essere minorenne e diritto all’indennità di maternità

„Ho 17 anni, sono al secondo anno di apprendistato e sono incinta. Ho diritto alle indennità di maternità?"

Di principio, in qualità di madre, ha diritto alle indennità di maternità, a condizione che:
- sia stata assicurata obbligatoriamente ai sensi della LAVS nel corso dei nove mesi precedenti il parto (cioè aver contribuito all’AVS, con delle deduzioni trattenute dal salario)
- durante questo periodo, abbia svolto un attività lucrativa per almeno 5 mesi
- alla data del parto, sia salariata o svolga un’attività indipendente (art. 16b LIPG).

Queste tre condizioni devono essere contemporaneamente soddisfatte, altrimenti non esiste alcun diritto all’indennità di maternità. Questo diritto non è legato ad un età minima. Tuttavia, visto che lei è minorenne, non ha potuto pagare i contributi all’AVS. Ha comunque diritto all’indennità di maternità, se soddisfa le altre due condizioni.

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Deduzioni sociali e indennità di maternità

“Il mio datore di lavoro trattiene le deduzioni sociali dalle mie indennità di maternità. Ne ha il diritto?”

Sì! L’indennità di maternità è considerata e trattata come un salario normale, secondo l’art. 16d-h LIPG. Di conseguenza, le deduzioni sociali sono pagate per una metà dalla dipendente (beneficiaria dell’indennità di maternità) e dall’altra metà dal datore di lavoro. I contributi abituai AVS/AI e IPG sono prelevati dall’indennità di maternità, così come, per i dipendenti, i contributi per l’assicurazione disoccupazione (DC).

Le prestazioni del datore di lavoro e i contributi AVS/AI, IPG, DC sono presi a carico dal Fondo di compensazione del regime di indennità per perdita di guadagno (art. 19a, cpv. 1 e 1bis LIPG).

L’ammontare dell’indennità di maternità è riportato sul conto individuale AVS dell’assicurato. Le indennità di maternità contano per il calcolo delle future rendite.

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Altre deduzioni e indennità di maternità

“Devo pagare i contributi alla cassa persone (LPP), a l’assicurazione per la perdita di guadagno in caso di malattia (LAMal) e all’assicurazione infortuni (LAI) durante il congedo maternità (pagato)”

Contributi alla cassa pensione (LPP):

Nel caso in cui il datore di lavoro non paga alcun salario durante il congedo maternità, la dipendente riceve direttamente dal suo datore di lavoro o dalla cassa di compensazione AVS, l’articolo 8 cpv 3 della LPP prevede espressamente che l’assicurazione secondo la LPP continui durante tutta la durata del versamento delle indennità di maternità.

Questo significa che il datore di lavoro continua a pagare la sua parte di contributi, mentre la parte della dipendente viene dedotta dalle indennità di maternità.

Durante le 14 settimane del congedo maternità, l’ammontare versato per i contributi LPP sarà lo stesso come prima della nascita (art. 8, cpv. 3 LPP, art 329f del codice delle obbligazioni), anche quando il salario annuale diminuisce a seguito della maternità. Nel caso in cui l’obbligo di contribuire rende la situazione finanziaria troppo difficile da sostenere per la madre, questa potrà domandare la diminuzione del suo salario “coordinato” (cioè la parte del salario obbligatoriamente assicurata).

Assicurazione perdita di guadagno in caso di malattia:

I premi dell’assicurazione per perdita di guadagno sono dedotti dall’indennità di maternità. L’assicurazione malattia non permette nessuna rinuncia dal pagamento dei premi.

Assicurazione infortuni:

Nessun premio per l’assicurazione infortuni può essere dedotto dall’indennità di maternità (art. 115, cpv 1, lett. d OLAI). Il legislatore ha deliberatamente rinunciato all’imposizione di questi premi nell’indennità di maternità. Questo significa che la madre è assicurata gratuitamente contro gli infortuni.

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Imposte e indennità di maternità

“L’indennità di maternità è soggetta all’imposta?”

L’indennità di maternità è imponibile, come tutti gli altri redditi. Per gli impiegati stranieri, l’imposta alla fonte sarà prelevata, a meno che non sia a beneficio di un permesso di soggiorno (permesso C) o che viva di fatto e di diritto con un congiunto di nazionalità svizzera o con permesso di soggiorno.

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Il lavoro notturno durante i primi 7 mesi di gravidanza

“Incinta da 6 mesi, sono infermiera e devo regolarmente lavorare di notte. Questo mi risulta particolarmente difficile negli ultimi tempo e mi sento subito molto stanca. Devo continuare a lavorare di notte?”

Di principio si. Ma con un certificato medico potete richiedere al vostro datore di lavoro un lavoro equivalente durante le ore diurne dall’inizio della gravidanza fino alla fine del 7imo mese (art. 35b, cpv 1 LL). A partire dall’8avo mese invece, è un obbligo del datore di lavoro (art. 35a, cpv 4 LL, voir No 9). Questo vale anche dopo il parto, tra l’ottava e la 16esima settimana (è vietato lavorare nelle prima 8 settimane dopo il parto).

Nel caso in cui il vostro datore di lavoro non può o non vuole offrire un lavoro equivalente durante il giorno, potete restare a casa e non andare al lavoro e avete diritto alll’80% del salario.

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Il lavoro notturno dall’8avo mese di gravidanza e fino al parto

“Incinta di 8 mesi, secondo il mio capo, dovrei continuare a lavorare nell’equipe notturna. Psicologicamente e fisicamente, arrivo pian piano al limite. Cosa posso fare?”

Durante le 8 ultime settimane di gravidanza, le donne incinte non devono lavorare di notte tra le 20 e le 6. Questo divieto è assoluto. Questo significa che sia la dipendente, che il datore di lavoro, devono osservare questa regolamentazione (art. 35a, cpv 4 LL).

Se il vostro datore di lavoro non può proporvi un lavoro equivalente durante la giornata, avete il diritto di restare a casa percependo l’80% del vostro salario (art. 35b, cpv. 2 LL).

Dovrete presentare un certificato medico per certificare la data del termine probabile. Il datore di lavoro può richiedere di presentare questo certificato per poter assicurare le donne incinte al momento previsto come prevede la Legge.

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Versamento del salario secondo il Codice delle obbligazioni (CO) durante la gravidanza e il congedo maternità

“Sono incinta da 6 mesi e sono in malattia fino alla nascita del mio bambino. Il mio datore di lavoro sostiene che non è obbligato a pagare il mio salario durante questo periodo. In più, secondo lui, la nuova assicurazione maternità (secondo la Legge sull’indennità per la perdita di guadagno), dovrebbe rimpiazzare il mio salario. È vero?”

No! Durante la gravidanza, il vostro datore di lavoro è tenuto a versarvi il vostro salario se siete impossibilitate a lavorare senza colpa, a causa della vostra gravidanza er esempio (art. 324 a CO). Il versamento del salario durante il congedo maternità secondo la LIPG non inizia che a partire dalla nascita del bambino (art. 16b et ss. LIPG).

Se siete impossibilitate a lavorare durante la gravidanza, cosa che dovrà essere attestata da un certificato medico, il vostro datore di lavoro è tenuto a versarvi il salario completo per un periodo determinato. La durata di questo periodo di pagamento obbligatorio del salario dipende da parametri o scale che variano in funzione del luogo e del numero di anni di servizio.

Vedi le diverse scale utilizzate al capitolo in attesa del bebe, assenze/ferie – pagamento del salario in caso di assenza.

Le indennità giornaliere di maternità rimpiazzano di principio le prestazioni del datore di lavoro per il periodo dopo la nascita.

Le due fasi – prima e dopo la nascita – così come le disposizioni relative a questi periodi, che regolano il pagamento del salario, non possono essere cumulate o sostituite nel tempo.

Naturalmente, nulla vieta di offrire più che le disposizione minime legali. Informatevi se questo è il vostro caso tramite il vostro contratto collettivo di lavoro, le assicurazioni maternità cantonali o quelle stipulate dal vostro datore di lavoro.

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Lavoro stagionale e durata dell’obbligo di versare il salario da parte del datore di lavoro

“Sono incinta e lavoro nello stesso hotel dalla nona stagione consecutiva. Il mio contratto di lavoro stagionale comincia ad inizio agosto e dura fino ad aprile. A partire da metà gennaio e fino alla fine della stazione, il mio dottore mi ha messo in malattia al 100%. Il mio capo mi ha detto che mi pagherà il mio salario completo solo per tre settimane. Ne ha il diritto? Oppure il mio datore di lavoro deve pagarmi per tutta la stagione?”

Il suo datore di lavoro non ha ragione. Quando un’impiegata lo è da un anno di servizio, il datore di lavoro non deve in effetti pagare che tre settimane di salario. Nel suo caso, la situazione è diversa. Anche se il suo lavoro stagionale dura ogni volta 9 mesi ed è interrotto ogni anno, si può affermare che il suo rapporto di lavoro è di lunga durata visto che lavora presso lo stesso datore di lavoro come stagionale regolare da 8 anni.

La durata del suo rapporto di lavoro corrisponde alla somma del tempo di lavoro effettivo presso lo stesso datore di lavoro. Ha svolto 77 mesi competi di lavoro stagionale (8 × 9 + 5). Si trova quindi nel settimo anno di servizio. Secondo i parametri visti anche alla domanda 10, può esigere il pagamento del salario per 3 mesi (13 settimane) (art. 324 a cpv 1 CO).

Il suo datore di lavoro le deve non solo il suo salario normale, ma anche eventuali indennità di notte, per giorni festivi, ecc. e le prestazioni sociali come gli assegni figli per esempio.

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Riduzione delle vacanze e malattia durante la gravidanza

“Sono dipendente della ditta XY. Durante la mia gravidanza, sono stata malata 7 settimane al 100% e ho dovuto restare a casa fino al giorno del parto. Al mio rientro al lavoro dopo il congedo maternità 14 settimane, la mia capa mi ha detto che le mie vacanze sarebbero state ridotte a causa della mia lunga assenza durante la gravidanza e del mio congedo maternità. Può farlo?”

No! Secondo l’articolo 329b, cpv 3 del Codice delle obbligazioni, le vacanze di un collaboratrice non possono essere ridotte dal datore di lavoro se questa non può lavorare a causa della gravidanza e le assenze sono durante meno di 3 mesi completi. È solo a partire dal 3 mese di assenza totale che il datore dei lavoro può ridurre il diritto alle vacanze di 1/12esimo. Per ogni mese completo di assenza, le vacanze possono essere ridotte di un dodicesimo supplementare. I mesi di assenza incompleti non sono presi in considerazione.

In caso di tempo di lavoro fluttuante (per es. lavoro su chiamata ecc.) ci si baserà su una media mensile calcolata sul tempo di lavoro totale lavorato in un anno.

I congedo maternità pagato è espressamente escluso dal calcolo delle assenze provocate per colpa della dipendente (art. 329b CO). Questo significa nel presente caso, che si considerano solo le 7 settimane di assenza avute durante la gravidanza. Le vacanze non devono quindi essere ridotte.

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Riduzione delle vacanze e riduzione del tempo di lavoro durante la gravidanza

“Durante la gravidanza ho dovuto ridurre il mio tempo di lavoro al 50% per 4 mesi. Il mio capo può ridurmi le vacanze di conseguenza?”

No! Se siete impossibilitata a lavorare al 50%, il periodo di protezione si prolunga di 2 mesi, secondo l’art. 329b, cpv 3 CO.

La riduzione delle vacanze di un dodicesimo può essere fatta, a seguito di un incapacità lavorativa del 50% (senza colpa della lavoratrice), solo dopo 6 mesi completi di assenza a causa della gravidanza.

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Il contratto individuale di lavoro e la legge

“Dopo l’entrata in vigore della nuova assicurazione maternità, ero sicura che tutte le donne attive avevano diritto ad un minimo congedo maternità pagato di 14 settimane. Il mio contratto di lavoro personale ne cita però unicamente 12. È possibile? "

Il congedo maternità è regolato dal diritto nei contratti di lavoro all’art. 329f del codice delle obbligazioni. È obbligatorio e secondo l’art. 362 dello stesso CO, non può divergere dal minimo legale (a meno che la differenza vada a vantaggio della lavoratrice quindi che duri più di 14 settimane o dia diritto ad un pagamento superiore all’80% del salario). Un peggioramento non è ammissibile. A seguito di ciò, quello che è stipulato nel suo contratto di lavoro non è valido.

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Il contratto individuale di lavoro e i CCL

“Sono incinta e lavoro come venditrice del commercio al dettaglio. Nel mio contratto collettivo di lavoro (CCL), c’é scritto che posso beneficiare di un congedo maternità di 16 settimane, pagato al 100%. Il mio contratto di lavoro individuale stipula un congedo di 14 settimane pagate all’80%. Quale dei due è valido?”

Nel suo caso, le disposizione del CCL sono valide, in quanto si applicano immediatamente a tutte e tutti gli impiegati che l’hanno firmato. Non vi si può derogare, a meno che il contratto collettivo l’autorizzi. Solo un contratto con delle prestazioni migliori rispetto a quelle del CCL è possibile, come menzionato dall’art. 357, cifra 1, cpv 2 del CO.

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